Il resto della Sicilia, Storie di Sicilia
La Siracusa Barocca e il Duomo
Siracusa, (fondata nel 733 a.C., città che si sviluppa in parte sul promontorio-isola di Ortigia e in parte sulla terraferma), fu il maggior centro dell’ellenismo in occidente, fino all’avvento degli Arabi è stata tra le più grandi e belle città dell’Europa antica, al pari di Atene, Cartagine e Roma. Di questo passato restano come ricordo incancellabile il teatro, l’anfiteatro e il castello Eurialo. E, anche se l’epoca di splendore è da lunghi secoli tramontata, le colonne doriche del tempio di Minerva inglobate nella maggior chiesa cristiana della città (il Duomo), segnano nella pietra una continuità tra passato e presente che serpeggia, sotterranea, in molti aspetti della vita, a Siracusa come in tutta la Sicilia.
L’architettura classica che è prevalentemente sacra nell’occidente della Sicilia (Segesta, Selinunte, Imera, Agrigento), si fa più civile e “laica” nella costa orientale, soprattutto con i teatri di Siracusa e Taormina. Gli estremi sono la maestà solitaria di Segesta e la perfetta sistemazione urbanistica di Siracusa.
Il centro storico di Siracusa si presenta con un volto inconfondibilmente barocco. Portici, balconate, lesene, prospetti, mensoloni: c’è tutta una profusione di angoli, piazzette, vie di un rigoglioso decorativismo. Ma non si tratta solo di facciate imponenti o di costruzioni monumentali; ci sono centinaia di edifici modesti arricchiti di bugnati a raggera sui portali, di timpani alle finestre, di stemmi; e l’uso è invalso fin oltre la fine del ‘700. L’affermarsi degli stili, infatti, in Sicilia come in altre parti d’Italia, avviene con una certa lentezza. Come permangono stilemi tardo-gotici in edifici del ‘400 e persino del ‘500, così schemi tardo-rinascimentali sopravvivono in costruzioni del Seicento pur se vivacizzati da inserti di sapore barocco. Ma il barocco nel pieno senso del termine si afferma qui solo nel ‘700, venato, verso la fine del secolo, di preziosismi rococò. Purtroppo sono tanto recenti gli studi su questo capitolo dell’architettura siracusana che molte opere aspettano ancora un autore certo. Tra gli architetti alcuni nomi sono finalmente emersi: i Vermexio, Pompeo Picherali e Luciano Alì. Dall’analisi degli atti notarili e dei registri amministrativi si rileva, una folta schiera di artigiani e di capimastri che rientrano a pieno titolo nella storia dello sviluppo architettonico di Siracusa, a cavallo del terremoto disastroso.
Questo fatto è molto importante per capire le particolarità che distinguono il barocco siracusano da quello del resto della Sicilia e, più ancora, da quello del “continente”. Il “murifaber” e il “caput magister”, infatti, sono ben più che un semplice scalpellino e un collaboratore senza iniziativa, poiché anch’essi partecipavano molto spesso alla progettazione. È una vicenda, questa, che assume i modi tipici dell’artigianato colto, trasmesso di padre in figlio, attraverso le botteghe familiari, svincolato da norme e regole che non siano quelle della bottega stessa. Succede, quindi, che le influenze ambientali, le reminiscenze degli insegnamenti paterni, l’estro del momento, un’improvvisa difficoltà nel reperimento dei materiali, finiscono per essere, ai fini della riuscita dell’opera più determinanti che la letteratura tecnica dell’epoca o i modelli elaborati nei centri d’irraggiamento.
In questo quadro il terremoto che alla fine del ‘600 sconvolse la Sicilia orientale, segnò un momento chiave che avrebbe potuto rappresentare la fine di ogni tentativo di rinascita. Ma non fu così. I maestri e gli artigiani sopravvissuti ritornarono ai cantieri, insieme ad altri richiamati in città dalle opere di ricostruzione. Motivi di prudenza, per il futuro imponevano, d’altra parte, di rivoluzionare la tecniche costruttive.
Per tutte queste ragioni l’architettura mostra uno svolgimento, nel XVII e XVIII secolo che, pur non conoscendo soluzioni di continuità, presenta numerosi elementi di innovazione. E i rapporti con il barocco esterno? Ciò che si può affermare sicuramente è la presenza in città di una tradizione dotata di sue regole e di meccanismi suoi propri per evitare troppo pesanti invadenze esterne, o per mutarle secondo una maniera locale che ne ridimensiona la forza innovatrice. Con ciò non si vuol dire che influssi esterni non siano penetrati a Siracusa; si afferma semplicemente, che non è facile stabilire quali e in che modo. Si sa dai documenti d’archivio che il Vignola e il Barozzi erano conosciuti; e anche bene. Ma l’imitazione delle loro opere si volge più ai particolari che alla struttura dell’edificio. E c’è sempre un’inventiva, un capriccio, una libertà che nella ricerca dell’effetto perde di vista, a volte, la correttezza del gusto.
Le influenze esterne, più che ai grandi nomi, sono legate ai grandi ordini religiosi che portavano in terra siciliana i modelli realizzati nelle case madri. Basti citare la chiesa di Andrea Borromini; oppure la chiesa dei Gesuiti che ripeteva la composizione architettonica della chiesa del Gesù, realizzata a Roma dal Vignola. Al di fuori di questi esempi l’analisi delle citazioni è tutt’altro che facile. Lo splendido prospetto della cattedrale, opera di Andrea Palma, rimanda ai modi di frà Giacomo Amato. Pompeo Picherali è rigorosissimo sul prospetto della chiesa di Santo Spirito; poi rivela rifacimenti e indugi che lasciano intravedere prestiti più complessi. Lo stesso Luciano Alì, se consideriamo il suo itinerario artistico dall’oratorio di San Filippo al Palazzo Beneventano, rivela il passaggio da una impostazione quasi classicheggiante a composizioni più teatrali e scenografiche.
IL DUOMO
La facciata attuale fu ideata dal trapanese Andrea Palma (1728-51) al posto di quella normanna gravemente danneggiata dal terremoto. Precedono il prospetto, al sommo della scalinata, due statue del palermitano Marabitti, dedicate a Pietro e Paolo (1746). Allo stesso maestro si devono, sulla facciata, le sculture della Madonna, di S. Lucia e di S. Marziano (1753-54). Nell’interno, a tre navate con copertura a capriate (1518) si evidenziano ancora le colonne doriche aggettanti dalle mura perimetrali e dalle cappelle. Il ricco apparato ornamentale del tempio comprende, fra l’altro, pregevoli cancellate in ferro battuto fra gli intercolumni[1] (in parte del principio del seicento e in parte dei primi dell’ottocento) splendidi stalli del coro in sacrestia (1499); elegante cantoria[2] seicentesca pure in legno intagliato (presbiterio). Diamo ora uno sguardo alle cappelle della navata destra; nella prima (battistero): vasca normanna, bronzi del sec. XVIII e mosaici pure normanni; nella seconda (di S. Lucia): decorazioni del 1711, statua argentea della Santa di Pietro Rizzo (1599), collocata su un piedistallo marmoreo adorno di rilievi in parte barocchi (del Gagini); nella terza (del Sacramento), probabilmente progettata da Michelangelo Buonamici (1650-51): sculture, affreschi, questi ultimi del messinese Agostino Scilla (1657), ispirati ai fatti del Vecchio Testamento e apprezzabili “per sublimità di disegno e grandiosità di stile” (Giuseppe Agnello). Amplissima, la cappella del Crocefisso in fondo alla navata destra, accoglie una tavola con S. Zosimo forse di Antonello da Messina, alla cui scuola è attribuito il dipinto di S. Marziano. Sull’altare della cappella vi è una croce in legno di stile bizantino, e in sacrestia, frammenti di un polittico[3] assegnato al siracusano Marco Costanzo (tardo ‘400). Si veda infine, in fondo all’abside centrale, un vasto dipinto figurante la nascita della Vergine, riferibile, forse, ad Agostino Scilla. Delle absidi laterali, quella di sinistra, risale ancora ai tempi bizantini; qui e nella navata sinistra sono poste statue del Gagini: la Madonna della neve, S. Lucia, Madonna col bambino e altre Sante.
1) Intercolumnio: (dal latino intercolumnium), spazio compreso tra due colonne di un colonnato, misurato nella parte inferiore della colonna. Nella architettura romana, rinascimentale e barocca, l’intercolunnio viene misurato in base a una codifica definita dall’architetto romano Vitruvio nel I sec. a.C., espressa in termini di diametro della colonna alla base.
2) Cantoria: nelle chiese italiane è spesso situata sopra la zona d’ingresso, in controfacciata, ove forma un apposito spazio sopraelevato in cui prendono posto i cantori, sia laici che religiosi, che costituiscono il coro deputato a cantare le parti musicali della messa. Spesso, in questa posizione si trova anche l’organo e, in tal caso, la cantoria funge anche da balconata per lo stesso.
3) Polittico: è, originariamente per definizione, una forma d’arte sacra, una pala d’altare costituita da singoli pannelli separati, racchiusi da una cornice al fine di dare all’opera una struttura architettonica. Eseguito con varie tecniche artistiche, principalmente pittoriche, dipinto su tavola o tela, ma anche scultoree, a livello di supporti quali legno, anch’esso alle volte dipinto, marmo, avorio od osso, è maggiormente diffuso tra il XIV e il XV secolo.
23 Luglio 2014
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