Spiritualità
SANT’AGATA. PATRONA DI CATANIA, ONORATA ANCHE AD ALI’ (Messina)
Sant’Agata, una fanciulla illibata, che affrontò il martirio per conservare la purezza. Da secoli, i siciliani la invocano contro la furia del vulcano Etna. La sua festa, il 5 febbraio, a Catania (ma anche ad Alì Superiore in provincia di Messina, di cui vi diremo in seguito), è famosa ancora oggi: a Catania, tre giorni di celebrazioni imponenti, colorate, chiassose, partecipate con processioni, candelore, sagre popolari.
La città è inondata da un fiume in piena di migliaia di pellegrini “tutti devoti tutti” -il grido che accompagna le reliquie- di Sant’Agata, una delle sante più conosciute e venerate. Ma chi era questa fanciulla? Della sua vita conosciamo ben poco perché le fonti di cui disponiamo sono scarsissime e poco attendibili. Agata nasce a Catania intorno al 235 d.C. da una famiglia ricca e di nobili origini, durante il proconsolato di Quinziano, incaricato di far rispettare l’editto di Decio contro i cristiani. L’amore che Agata ha per Dio affonda le sue radici nell’educazione che riceve in famiglia sin da bambina. Una profonda consapevolezza della propria identità cristiana la caratterizza e la accompagna per tutta la vita. Per Cristo ha un amore vero, autentico, messo duramente alla prova da diverse dure circostanze, ma la fedeltà a Dio e la certezza di appartenere a Lui solo sono le forze e la luce nei momenti di buio e di oscurità.
I “MINNUZZI RI SANT’AITA”
Non è solo il diminutivo usato nel gergo catanese per indicare le cassate ricoperte di glassa bianca e guarnite da una ciliegia candita, i “minnuzzi ri Sant’Aita” è una delle tante espressioni che ricordano il supplizio e il tormento che Agata subì: l’amputazione dei seni. Capelli biondi, lineamenti delicati, corpo snello e asciutto, Agata cresce in bellezza, ma, soprattutto, in sapienza e grazia nella devozione e nella preghiera a Dio. Il suo aspetto non passa inosservato e s’invaghisce di lei il proconsole Quinziano, che la fa arrestare e rinchiudere in una casa di piaceri per sedurla. Al netto rifiuto di Agata a ogni proposta indecente, la risposta e le vessazioni non si fanno attendere fino allo svolgimento di un processo farsa. “Di che condizione sei?”, le chiede il giudice. “Io sono libera – risponde Agata – e nobile di nascita: ne fa fede tutta la mia parentela”. “Se sei libera e nobile –incalza il proconsole- perché meni la vita bassa di una schiava?”. “Io sono serva di Cristo –aggiunge Agata- e per questo di condizione servile. La nobiltà suprema consiste nell’essere schiavi di Cristo”. Spirito deciso, toni pacati, affronta così faccia a faccia, con memorabili dialoghi, il proconsole Quinziano che, saputo altresì della sua consacrazione al Dio di Gesù Cristo, volle convincerla, senza successo, a ripudiare la sua fede e ad adorare gli dei pagani: Giove e affini.
IL MARTIRIO DI AGATA
Visto vano ogni suo tentativo, il proconsole passò alla tortura. Procede per gradi. Dapprima sospesa all’aculeo e flagellata. Successivamente, ferita nel corpo con uncini di ferro, e nelle cavità che creavano, fa inserire dei carboni ardenti, fino ad arrivare all’amputazione delle mammelle con una tenaglia. Una violenza indicibile. Di nuovo in cella, ad Agata, provata nel corpo e nell’anima, durante la notte appare in sogno un anziano che ricorda San Pietro, che le dice: “Agata io sono l’apostolo Pietro e sono venuto nel nome di Gesù a risanarti”. E il prodigio si compie, perché ad Agata il petto rifiorisce. Nella sua perversione, il proconsole Quinziano si esaspera ancor di più mutilandola di nuovo nel corpo e sottoponendola a innumerevoli sofferenze. Ma Agata è ormai con l’anima in un’altra dimensione. Muore, uccisa dalle mani del proconsole, il 5 febbraio del 251.
CULTO, DEVOZIONE E FOLCLORE
Se il martirio di Sant’Agata è riportato in modo leggendario, più attendibili sono le notizie relative al culto. La dedizione nasce spontaneamente, come frutto della venerazione verso quella che i catanesi hanno sempre considerato una paladina della cristianità. Secondo la tradizione, a distanza di un anno dalla sua morte, l’Etna minaccia la città con una tremenda eruzione. Come rimedio per fermare la lava si usa il velo di seta di Agata issato su un bastone che, miracolosamente, come scudo la blocca. Ai catanesi appare evidente la volontà di Agata di salvare i luoghi che appartengono alla sua storia. Oggi, il velo è una delle reliquie custodite nel Duomo e portato in processione nei giorni della sua festività.
FESTA DEL POPOLO
Profumi e colori, storia e cultura, Catania è una città barocca, non solo nell’architettura ma soprattutto nell’anima. In un’atmosfera pressoché fiabesca e suggestiva si mescolano riti e folclore, devozione e usanze popolari. I festeggiamenti dedicati a Sant’Agata sono, per i catanesi, l’appuntamento più atteso e desiderato dell’anno. Tre giornate straordinarie e strabilianti, dal 3 al 5 febbraio, dedicate interamente alla santa, protettrice della città. La cittadina etnèa celebra la festa anche il 17 agosto, giorno del ritorno a Catania delle spoglie di Agata, dopo che queste erano state trafugate a Costantinopoli. Caratteristica la processione, con “le cannalore”, grandi candele votive, che attraversa le vie che ricordano l’atroce martirio di Sant’Agata. I devoti, veri protagonisti della festa, trainano il fercolo recante i resti della santa, posti sulla vara i vestiti con un saio di cotone bianco stretto da un cordone detto “u sàccu”, una cuffia bianca, un fazzoletto e dei guanti bianchi. I fuochi d’artificio mozzafiato e la tradizionale ‘a cchianàta ì San Giulianu, cioè la salita di San Giuliano, concludono questa celebrazione religiosa che si rinnova ogni anno con lo stesso slancio e sentimento di cinque secoli fa, quando iniziò la tradizione della festa. Una ‘A’ intagliata nella pietra sulla facciata del Palazzo municipale e un’altra riportata nello stemma cittadino sotto l’elefante, sono il richiamo continuo a quella martire che tanto viene invocata dai suoi fedelissimi devoti.
DEVOZIONE E FESTEGGIAMENTI AD ALI’ SUPERIORE (Messina)
La devozione per Sant’Agata, risale al 1126, anno del rientro delle reliquie della Martire in Sicilia da Costantinopoli a Catania, passando da Alì, perchè delle fonti orali dicono che la nave che riportava le reliquie di S. Agata verso Catania, dovette attraccare alla riva della marina di Alì per poi continuare a piedi verso la città natale etnea; gli abitanti di Alì interpretarono questo evento come un prodigio miracoloso ed un patrocinio della Santa verso il loro paese. Essi allora venerarono queste reliquie che erano di passaggio, e i custodi delle reliquie, visto la grande devozione degli aliesi, donarono un pezzo del velo che copriva le reliquie ed una reliquia della Santa. Il popolo la portò trionfalmente in paese e subito S. Agata fu nominata Patrona del paese. Accanto a questa festa se ne è sviluppata un’altra, che commemora il 17 agosto di ogni anno l’avvenimento della traslazione del corpo della Santa, avvenuto appunto, come vuole la tradizione, il 17 agosto del 1126, da Costantinopoli, dove era stato trafugato dalle truppe bizantine a Catania, sua città natale.
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