Storie di Sicilia
Lo Stile Liberty in Sicilia. “LA LINEA È UNA FORZA”
Nei due decenni a cavallo del 1900, più precisamente tra il 1893 ed il 1914, si afferma e si diffonde in tutta Europa, dall’Inghilterra alla Russia, un ampio movimento di rinnovamento artistico, di ispirazione internazionalista e sostanzialmente unitaria nei presupposti teorici.
Modernismo, Art Nouveau, Jugendstil, Modern Style, Liberty, Secession Style sono le più comuni etichette che nei diversi Paesi europei ne indicarono i diversi esiti stilistici. In tutti questi termini l’accento batte sul concetto di “stile” e sulla suggestiva indicazione di una aspirazione al nuovo, al moderno, allo slancio vitale.
Trovano così espressione quell’eccitante atmosfera che sembra percorrere il mondo agli inizi del XX secolo, quell’attesa febbrile, quell’entusiasmo creativo, quella fiducia nella modernità e nel progresso, alimentata dalle numerose invenzioni tecnologiche del tempo, e di cui l’immagine dell’avveniristica tour Eiffel (1889) si è precocemente proposta come forma emblematica.
Il movimento modernista trova uno dei suoi punti teorici qualificanti nella lotta aperta contro l’accademismo e l’eclettismo ottocenteschi. Il nuovo stile respinge il riferimento agli stili storici del passato, per attingere le sue fonti di ispirazione direttamente dalla natura; ciò si esprime nella creazione di un affascinante repertorio di immagini e motivi decorativi tratti dal mondo vegetale e animale, ma soprattutto – a un livello più impegnato – nell’indagine dei processi creativi e formativi della natura.
“La linea è una forza” dice l’architetto belga Henry Van de Velde: la linea scattante e dinamica degli steli dei rampicanti, la linea avvolgente e sinuosa del guscio delle conchiglie diventa l’elemento generatore, la matrice strutturale della progettazione. Molte opere di architetti modernisti francesi (come Hector Giumard), belgi (come Victor Horta), spagnoli (come Antoni Gaudì) esprimono un’inquietante forza metaforica: sono aperte, asimmetriche, mobili, come in un’interna mimesi della vitalità e della mortalità delle forme naturali.
A questa linea stilistica se ne affianca parallelamente un’altra, sviluppata prima in Inghilterra e Scozia e poi portata alle sue più rigorose conseguenze nell’area austro-tedesca. Essa predilige in architettura forme semplici e squadrate e, negli interni, spazi nitidi, raffinatissimi elementi decorativi, pochi mobili di linea semplice, colori delicati, come negli esempi dell’austriaco Josef Hoffmann o dello scozzese Charles Renni Mackinosh. In tutti i casi la nozione di “stile” sostanzia l’altro punto di forza della teoria del Modernismo, cioè il concetto dell’unità progettuale di architettura e arredo (urbano oltre che di interni), della “progettazione integrale”, dal livello dell’urbanistica fino a quello del soprammobile, superando la separazione tra arti maggiori ed arti minori: questo principio è all’origine della vicenda moderna dell’architettura e di quello che sarà chiamato industrial design.
La committenza borghese innesca quella ricerca del “prezioso” nella moda, nel gioiello, nell’arredo che renderà mitici i nomi di Lalique, Gallè, Tiffany.
Oltre alle forme animali e vegetali e ad esse talvolta fusa, l’immagine più ricorrente nel repertorio modernista è quella femminile: il corpo sinuoso della donna, rielaborato spesso sviluppando gli andamenti ondeggianti di fluenti chiome e di ampi panneggi, si presta ad esprimere il valore ornamentale della linea. Talvolta l’immagine della donna assume un aspetto inquietante, una connotazione maligna o ambigua, carica di sensualità e di erotismo, con i quali il modernismo si relaziona.
La rapida diffusione del movimento modernista in tutta Europa si deve in gran parte alla stampa di riviste d’arte lussuosamente illustrate, grazie ai nuovi procedimenti di riproduzione seguiti all’invenzione della fotografia.
Le riviste d’arte hanno ora un’ampia diffusione che spesso supera i confini nazionali e, insieme con mostre internazionali, altra caratteristica di quegli anni, contribuiscono a far conoscere rapidamente e dappertutto le opere degli artisti. È così che il nuovo stile arriva presto anche negli Stati Uniti.
Ben presto però, già allo scoppio del primo conflitto mondiale, il Modernismo perde quello slancio fiducioso, con il crollo dei miti del progresso: si esaurisce così questo stile dinamico, agile ed ottimista di cui rimangono splendide testimonianze, nonostante il lungo oblio di almeno un trentennio, periodo in cui “Liberty” era diventato sinonimo di cattivo gusto, fino alla rivoluzione critica che risale alla metà degli anni ’60.
PALERMO LIBERTY
Il grande impulso economico dato a questa città dalla seconda metà dell’ ‘800 ai primi del ‘900 da imprenditori quali i Florio, i Whitaker, i Ducrot ed altri, ha innescato un processo di sviluppo a Palermo paragonabile solo a rare congiunture storiche del passato. Sorgono i cantieri navali, legati all’attività armatoriale dei Florio, industrie come la Fonderia Oretea, la Ceramica Florio, il mobilificio Ducrot e tanti altri opifici grandi e piccoli.
Nella seconda metà dell’Ottocento vengono costruiti i due grandi teatri, Politeama e Massimo, alcuni giardini pubblici, palchetti per la musica, chioschetti, ecc.; nascono nuovi eleganti quartieri lungo gli assi di via Libertà e via Notarbartolo.
L’industria edilizia è fiorente e numerosissimi artigiani (fabbri, vetrai, decoratori, mosaicisti e così via) vengono coinvolti nella realizzazione di piccoli gioielli architettonici quali le ville Whitaker e Malfitano di I. Greco, Villa Florio di E. Basile, Villa Caruso-Valenti di F. La Porta e lo stesso Villino Ida.
Il Liberty palermitano tocca parte di grande interesse ancora in opere quali Palazzo Dato di V. Alagna, Palazzo Ammirata di F. P. Rivas, Palazzo Landolina di Torrebruna di Tamburello, nelle architetture di E. Armò, nelle vetrate e nei decori pittorici di Bevacqua e Gregorietti, nel mosaico del panificio Morello al Capo, ecc.
Nella pittura tra le personalità di spicco troviamo Ettore de Maria Bergler, che ha legato il suo nome soprattutto alla splendida decorazione murale del Salone Basile di Villa Igiea, a Aleardo Terzi, bravo pittore ma soprattutto ottimo grafico. Nella scultura ricordiamo Antonio Ugo, che spesso ha collaborato con E. Basile, e ancora Mario Rutelli, Domenico Trentacoste, ecc.
L’OPERA DI ERNESTO BASILE
Esponente di primo piano del Modernismo internazionale, E. Basile (Palermo 1957-1932) si laurea in architettura nel 1878, trovando già nella figura del padre G. B. Filippo, architetto di larga fama e progettista tra l’altro del teatro Massimo di Palermo, un altro insegnamento culturale e professionale. Dal 1881 al 1890 è a Roma, dove farà ritorno più volte per incarichi progettuali tra cui quello del Palazzo di Montecitorio (1902-18).
Basile sviluppa il proprio linguaggio artistico partendo da una profonda esperienza dell’architettura siciliana dei vari secoli e dalla conoscenza delle più aggiornate sperimentazioni artistiche dell’Europa del tempo.
In una prima fase egli si muove in ambito storicista (completamento degli interni del Teatro Massimo; Padiglioni dell’Esposizione Nazionale di Palermo 1891-92, in stile arabo-normanno; Palazzo Francavilla, 1893, in stile neo-rinascimento), ma già nella Villa Bordonaro alle Croci (1893), nonostante il richiamo stilistico al Rinascimento, la libertà compositiva della planimetria e l’articolazione dei volumi intorno alla torre esprimono le nuove istanze dell’art nouveau. Abbandonate così le volumetrie bloccate dell’architettura ottocentesca e trovata la vena Liberty, nascono a Palermo capolavori quali Villino Florio e Villa Igiea, entrambi realizzati per i Florio alle soglie del nuovo secolo, e ancora Palazzo Utveggio (1901), Villino Ida (1904), lo Stand Florio per il tiro al piccione (1906), Villino Lentini a Mondello (1910), la Cassa di Risparmio di piazza Borsa (1912), il monumento commemorativo in piazza Vittorio Veneto (1911-31), il Palazzo delle Assicurazioni Generali Venezia (1913), il Kursaal Biondo (1913), l’ampliamento del villino Favaloro (1914), il Chiosco Ribaudo in piazza Castelnuovo (1916).
Tra le opere più tarde ricordiamo l’Istituto provinciale antitubercolare (1920), le case popolari di via A. Volta (1923), Villino Gregorietti (1924), la chiesa di S. Rosalia in via Marchese Ugo (1928). Capolavori quali il Villino Fassini (1903), Vilino DEliella (1905) e Villino Ugo (1908) sono stati distrutti nel dopoguerra.
Basile ha operato spesso anche fuori Palermo: in Sicilia ricordiamo il Tetro di Canicattì (1899), il Municipio di Licata (1904), Palazzo Bruno di Belmonte a Spaccaforno (1906), Palazzo Manganelli a Catania (1907), la Centrale elettrica di Caltagirone (1907), la Cappella Ciuppa nel cimitero di S. Agata di Militino, gli edifici della Cassa di Risparmio di Trapani (1918) e Messina (1926-27); oltre lo Stretto troviamo a Roma, oltre a Palazzo Montecitorio, le palazzine Vanoni (1902) e Rudinì (1903) ed a Reggio Calabria il Palazzo Municipale (1914).
La capacità imprenditoriale di Vittorio Ducrot unita alla progettualità di Ernesto Basile hanno dato vita ad una produzione di arredi che, presentati nelle esposizioni internazionali di Torino (1902), Venezia (1903), Milano (1906), costituiranno un fenomeno di design d’avanguardia, registrato dalle riviste di arredamento di mezza Europa. Basile infatti, non solo progetta sin nei minimi dettagli gli arredi delle sue case, ma insieme a Ducrot prevede la realizzazione di mobili da produrre in serie, quindi con linee particolarmente essenziali, come i famosi mobili dello studio, non privi tuttavia di una certa ricercatezza ed eleganza.
PALERMO, L’URBANISTICA OTTOCENTESCA E IL PIANO GIARRUSSO
La rivoluzione industriale e la conseguente esplosione demografica della città, rendono necessaria intorno alla metà dell’Ottocento la stesura di piani regolatori che programmino la crescita urbana in modo organico, non essendo più possibile consentire un’espansione spontanea ed incontrollata della città.
I piani urbanistici dell’Ottocento prevedono un disegno urbano che si sviluppa secondo uno schema regolare a scacchiera, a Barcellona come a New York.
Palermo non sfugge a questa regola, infatti il piano urbanistico del 1885 dell’ing. Felice Giarrusso propone un’espansione urbana intorno al centro storico con tracciati viari ad angolo retto. Lo sviluppo più marcato della nuova città si ha in direzione nord lungo l’asse viario alberato del viale della Libertà, già tracciato a partire dal 1848. Quì si svilupperanno i quartieri della città borghese, qualificati da ville e ricercate architetture liberty (molte delle quali, purtroppo demolite).
Un’altra caratteristica dei piani urbanistici ottocenteschi è costituita dagli “sventramenti” operati nei centri storici: si creano cioè nuove strade, attuando demolizioni spesso indiscriminate nel tessuto antico della città. A Palermo nasce con questo sistema la via Roma, una strada che serviva a creare un collegamento tra la stazione ferroviaria, la città nuova ed il porto. Tale sventramento, previsto dal piano Giarrusso -non era il solo ma fu l’unico realizzato-, portò alla demolizione di chiese, palazzi, stravolgendo antiche piazze e interi quartieri; tuttavia all’epoca fu ritenuto un intervento di risanamento delle vecchie, malsane aree della città antica. In realtà, il Boulevard di via Roma non servì a risanare il centro storico bensì a creare un attraversamento veloce dello stesso, nascondendo con pretenziose facciate le vecchie, fatiscenti costruzioni ormai destinate ad essere abbandonate dai ceti medio ed alto borghesi.
27 Maggio 2014
NOTA: Nella foto in alto Villa Florio, (Arch. Ernesto Basile), sita a Palermo in viale Regina Margherita, alla Zisa.
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