Motori, Sport
Carlo Cavicchi Vero: una vita nei motori
Da ragazzo giocava a pallacanestro, perché “a Bologna la pallacanestro è lo sport nazionale”. Ha scritto di basket e da qui una lunga e gloriosa carriera. Lo conosco da anni è oggi, in questa intervista, lo ritrovo rilassato nel raccontare e raccontarsi. Chi è Carlo Cavicchi? Se proprio siete fra i pochi che non lo conoscono, vi basterà leggere questa mia intervista per farvi un’idea.
Di Cavicchi giovane pilota rally non tutti sanno, ce ne vuole parlare?
Beh! si, io ho cominciato a correre esattamente cinquant’anni fa e ho avuto fortuna perché ho potuto guidare macchine molto belle, anche se non riuscivo a provare come Dio comandava, perché facevo con una macchina nuova una gara sola che mi prestavano per fare delle prove. Ho guidato macchine bellissime, ho fatto una gara con la Stratos, una gara col 131, una gara con la Ascona 400, una gara col Ferrari, tre gare con 037, poi ho guidato di tutti i generi. Ho corso sul ghiaccio con una Puegeot 104 vincendo la categoria, ho corso con la Fulvia, con la Porsche… ho fatto quattro vittorie assolute e ben 14 secondi assoluti. Io correvo e lavoravo, il tempo pieno non lo avevo ma è stato bello.
Insomma, un giovane scavezzacollo – E no, forse scavezzacollo non è la parola più esatta, perché ero uno che ha avuto pochissimi incidenti. Andavo mediamente bene ed ho avuto buoni risultati.
Sandro Munari con la Lancia Fulvia HF al Rally di Monte Carlo nel gennaio 1972
Una vittoria fantastica, io me la ricordo ero là che lavoravo già per Autosprint. Allora seguivo i rally. Fu una svolta per tutta la disciplina dei rally, fece molto bene, anche se Munari aveva già vinto la Corsica anni prima, quindi aveva fatto dei risulti interessantissimi, ad altissimo livello, il rally di Monte Carlo aveva veramente un’aurea così importante, quindi fece veramente bene a tutta la specialità, portò un grande interesse in Italia ed è stata una gara di svolta che ha cambiato la passione verso i rally. La Lancia stava già facendo bene in quegli anni perché aveva avuto dei grandi piloti. Per la Lancia avevano corso: Aaltonen, Söderström, Andersson, Källström, Lampinen, quindi tanti grandi piloti ma la vittoria di Munari fu veramente una gara di svolta e la Lancia entrò nel cuore di molti. Era la fine e il suggello della grande storia della Fulvia, perché la Fulvia con questa gara uscirà di scena.
Nel 1984 il direttore di Autosprint Italo Cucci la richiama e le offre la direzione del giornale…
Una cosa a sorpresa perché io allora avevo già lavorato, avevo fatto le corse nei rally con Autosprint dal ’70 all’81, poi sono passato a Rombo. Nasceva Rombo, anche lì come capo redattore. Mi chiamò Cucci e io andai casa sua una sera, lo conoscevo, appartenevamo alla stessa Famiglia della Conti Editore e pensavo mi volesse richiamare per rifare i report per Autosprint. Io non evo intenzione di tornare lì e lasciare i miei amici. Invece a sorpresa mi offrì di dirigere Autosprint. Devo dire, io ero molto giovane, Autosprint allora vendeva già tanto, avevo 37 anni e diciamo fu una sfida un treno che passava e io, anche se mi tremavano le gambe, dissi di si. Molti dicevano che “non avrei mangiato il panettone”, non sarei arrivato a Natale. Invece son rimasto 15 anni come direttore. Una bella esperienza.
L’idea di far debuttare in auto il giovanissimo Jacques Villeneuve, figlio di Gilles
Si, Jacques era giovane, aveva 16 anni, e sembrava importante, visto che Autosprint aveva sempre seguito con grande passione l’arrivo di Villeneuve in Italia, papà e tutto. C’era questo ragazzino che non aveva fatto nemmeno il kart, quindi non aveva esperienza niente, lo mettemmo a correre con un’Alfa 33 nel campionato Turismo, mosse i primi passi poi la Formula 3 e la grande carriera di Jaques la ricordano tutti: in America ha vinto, in Formula Uno, ha vinto a Indianapolis. Il merito è tutto suo, noi lo abbiamo messo in macchina e basta. Poi è andato bene.
Ayron Senna, fu il più grande pilota di tutti i tempi? Una domanda che molti tifosi della Formula Uno e non solo si fanno ancora oggi
Non sono la persona più adatta, perché ho sempre odiato le classifiche in termini di tempi. Ogni periodo ha un suo campione, perché cambiano le macchine, cambia il modo di correre, cambiano i regolamenti… è difficile dire se Binda era meglio di Merx e quindi se Senna era meglio di Nuvolari è un paragone che non si fa, se era meglio di Fangio addirittura è un altro confronto che non si fa. Un grande pilota, uno dei più amati e soprattutto un campione vero. Poi le classifiche le lascio fare ad altri. Io ho avuto un rapporto molto felice con Ayrton, ho scritto anche un libro assieme a lui, Senna Vero scritto a quattro mani, dire chi era il più grande di tutti è una cosa che non ha senso, lo dico convinto. Come si fa a dire di un pilota che è stato più grande di Fangio? Come si fa? Fangio ha corso 48 Gran Premi in tutto, ha vinto cinque mondiali, in un periodo dove morivano tutti e lui riusciva lo stesso anche a non morire, che è un fatto clamoroso. Come si fa a confrontare, di mille, Nuvolari con Senna?
Nei primi anni 90, Autosprint diede vita al Nido dell’Aquila, una corsa in salita su terra che si rifaceva alla popolarissima Pikes Peak americana
In effetti fu un’idea matta, la Pikes Peak è la corsa in salita più famosa del mondo, si fa in America, in Colorado, a quota altissima, però è una gara leggendaria. Noi volevamo fare in Italia una corsa che le assomigliasse come concetto, cioè una gara su terra. Adesso la Pikes Peak è tutta in asfalto, una volta era su terra. Allora dovevamo fare una gara in salita in terra e trovammo questo posto vicino a Nocera Umbra e fu un’idea geniale, perché vennero a correre piloti di tutte le categorie mescolati. Si affrontarono campioni del mondo, le so dire: Biasion, Makinen, Blonkvist del mondo dei rally come Trelles, Aghini; campioni della velocità come Alesì, Tarquini, Zanardi, come Giovanardi; campioni delle gare in salita come le gare americane come Tamburini. Ecco, fu una cosa veramente…
Il Circuito di Adria, una realtà italiana. Cosa ci può dire in merito?
Beh! fu un’idea matta, che venne a Giuliano Torelli imprenditore veneto, quando io lasciai Autosprint nel ’99 mi coinvolse in quest’idea di costruire un circuito. In Italia non si facevano circuiti da più di vent’anni, sembrava impossibile fare una pista, e invece in neanche due anni nacque questa pista che fa i vent’anni adesso. È una pista che ancora lavora tantissimo, è un’idea geniale non mia ma di Altoè di fare il paddock coperto, che fu una cosa molto spettacolare, grandissima. Questa copertura che permetteva di fare tante iniziative lì sotto: mettere il motorhome non all’acqua ma sotto una struttura, fu una cosa veramente innovativa con le camere d’albergo sotto i box. Un’idea che è partita e dopo io sono venuto via in fretta. Fu un’idea per farla nascere, io sono rimasto nel Consiglio d’amministrazione sino al 2008 e poi mi sono tirato via perché non era il mio mestiere. Non avevo tempo di occuparmene.
Adria, contunua a fare la sua attività, oggi? – Si si, adesso l’anno anche allungata. Adesso, per quelli che se ne intendono è una pista di Kart ch’è una delle più belle d’Italia e forse d’Europa. Grandissima e bellissima dove ci fanno le gare di più alto livello.
Siamo a fine 2000, nasce SportAutoMoto, un nuovo settimanale stampato nel formato dei grandi quotidiani
Si, lì fu una scommessa, perché lo stampatore che stampava i due quotidiani l’Eco di Bergamo e Il giornale di Brescia, aveva preso la macchina a colori, allora il colore nei giornali praticamente non c’era e volevano fare un prodotto molto colorato. Fotografie a colori, addirittura io m’inventai le foto passanti, realtà che adesso fan tutti i giornali ma che allora si pensava che fosse impossibile. Nacque SportAutoMoto come esperimento ed è stato un’avventura. Poi, dopo ha cambiato diversi proprietari, perché una volta che era stato lanciato, al Giornale di Bergamo e di Brescia non interessava più. Poi io mene son venuto via, ma è stata una bella esperienza che apriva delle strade nuove.
Il suo approdo alla direzione di Quattroruote, e da quì Quattroruote Academy e i giovani
Aver diretto Quattrorute (che nella sua vita ha avuto solo sei direttori) è la mia Medaglia più grande, non è una cosa da poco. Io, dopo SportAutoMoto ho diretto Quattrorute per cinque anni, poi ero già in pensione e ho chiesto di ridurre i miei tempi, perché ero sempre da Milano a Bologna e non stavo mai a casa, ho lasciato la direzione al mio vicedirettore Pellegrini, però l’Azienda mi ha chiesto di restare e continuare come responsabile delle relazioni esterne della testata e in quel frattempo mi sono inventato anche la Quattroruote Accademy , che è una scuola che c’è tutt’ora con master continui e che ha messo a lavorare tantissimi giovani. Una bella invenzione è stata.
Il recente Premio Bruno Raschi, assegnatole per il romanzo Rapiremo Niki Lauda, la consacra definitivamente nella storia del giornalismo sportivo fra i grandi
È si, è stato un Premio che mi ha molto onorato, perché era la prima volta che un giornalista sportivo ha preso il Premio Bruno Raschi, (dal Bancarella Sport, viene dato) , ed è il più importante Premio per il giornalismo sportivo. Io sono entrato devo dire in una compagnia del grande giro: perché se pensiamo, comincia con Zavoli e poi l’anno vinto: Cannavò, l’ha vinto Gianni Mura, l’ha vinto Minà, Tommasi per il pugilato, la Pericoli per il Tennis, insomma è un contesto in cui veramente umilmente mi inserisco per ultimo, adesso. È stata una bella soddisfazione.
Autosprint ricorda, che i giornalisti sportivi non hanno mai avuto nella storia la stessa attenzione che hanno avuto invece quelli che si occupano del calcio, di pallone
Beh! più che pallone, diciamo le discipline principali sono: il Calcio, il Ciclismo e poi dopo in secondo piano, – un tempo molto più avanti adesso un po’ meno – il pugilato e il tennis. I motori sono sempre stati figli di un Dio minore, per tanti aspetti nei giornali, ma diciamo che un tempo si riusciva ancora a fare del buon giornalismo anche con i Motori, adesso è molto difficile.
GIOVANNI BONARRIGO – Mail: info@fogliodisicilia.it
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